Milano.
Capitale mondiale della moda.
Punto di riferimento europeo per il design.
Vertice italiano dell’editoria, della lirica e della cultura in generale.
Principale centro dell’economia e dell’industria, oltre che meta di turismo internazionale.
Milano, insomma, oggi è a tutti gli effetti una città globale; anzi, una città Alfa.
Eppure, solo cinquant’anni fa la situazione era ben diversa: l’unico titolo onorifico che Milano potesse vantare, infatti, era quello di università del crimine.
Attivo tra il 1952 e il 1995, il quotidiano milanese La notte divenne celebre per la sua linea editoriale spregiudicata, legata soprattutto alla cronaca nera milanese: un giornalismo fatto di titoli provocatori e sensazionalistici – quelli che oggi definiremmo “acchiappa click” – oltre che di nessun tipo di remora morale nella pubblicazione di fotografie di scene del crimine e non solo.
Sfogliando, così, le oltre 300 immagini del volume Ultima Edizione. Storie nere dagli archivi della Notte, il volto di Milano che emerge non è affatto quello della cosiddetta “Milano da bere”, ma è un mondo nel quale sparatorie, rapine, sequestri e omicidi sono all’ordine del giorno.
Parliamo della Milano degli anni Settanta, di una città che giocava ogni giorno a “guardie e ladri”, e di una criminalità che non era già più la semplice ligèra, per quanto fosse ancora ben lontana dal potersi definire organizzata o politica.
Non parliamo, insomma, di mafia o ‘ndrangheta – perlomeno, non in un primo momento – né di terrorismi o strategie della tensione, ma di uomini e bande che si potrebbe dire vivessero alla giornata, con il solo interesse di diventare ricchi nel più breve tempo possibile per potersi divertire, permettere bei vestiti, belle macchine e frequentare la gente che conta.
Una malavita fatta di personaggi, intrecci e azioni da romanzo noir, tanto che a leggere di quel che fu il quindicennio 1970 – 1984 si corre il rischio di cadere nel fascino del male, di finire con il fare il tifo per il cattivo, trattandolo da novello Robin Hood e dimenticandosi dei morti innocenti e dello stato di paura generale in cui tutti erano costretti a vivere ogni giorno.
Il primo nome dal quale partire è, sicuramente, quello di Francesco “Francis” Turatello, boss incontrastato della mala milanese per tutti gli anni Settanta.
Figlio illegittimo del boss mafioso americano Frank “Tre dita” Coppola, da aspirante boxeur di periferia, grazie ad amicizie influenti e a un vero e proprio esercito di “bravi ragazzi”, comincia una carriera criminale che lo porta rapidamente a costruire un impero fatto di bische, rapine, prostituzione, oltre che di affari con mafie, politici e rappresentanti di spicco del jet set.
Un potere così forte ed esteso che comincia presto a fare gola a molti; all’apice del successo, alle soglie degli anni Ottanta, Turatello si trova, così, ad avere molti nemici – dalle nuove bande rivali fino alla stessa mafia – e il suo regno comincia a franare.
“Faccia d’angelo” viene arrestato a seguito di una soffiata, i suoi fedelissimi vengono uccisi uno dopo l’altro, così come la madre di suo figlio.
Il suo assassinio in carcere all’età di 37 anni, di cui ancora si ignorano i mandanti, segnerà una svolta cruciale nella storia della criminalità milanese e consegnerà la sua figura alla leggenda, lasciando enigmatico il suo ruolo all’interno degli anni più bui della storia italiana.
Inizialmente principale rivale di Turatello, salvo poi in seguito, paradossalmente, averlo come suo testimone di nozze in carcere, Renato Vallanzasca è l’altro grande protagonista della Milano nera di quegli anni.
“Il bel Renè”, il bandito dagli occhi di ghiaccio, tra rapine, sequestri di persona ed evasioni rocambolesche dal carcere, insieme alla sua banda della Comasina ha tenuto incollato per anni un paese intero davanti ai notiziari, diventando di fatto il primo criminale vip della storia italiana, in grado di affascinare migliaia di donne con i suoi modi eleganti da ladro gentiluomo.
Luca Scornaienchi ha avuto modo di incontrare Vallanzasca in un bar della periferia di Milano, in uno degli ultimi giorni di libertà vigilata, prima che questa gli venisse definitivamente revocata e fosse rispedito fine pena mai nel carcere di Opera a seguito di un furto di mutande in un supermercato.
Da quella breve chiacchierata è nata in lui l’idea del fumetto Vallanzasca. Il male fuori e dentro il carcere, in cui, con l’aiuto dei disegni di Jonathan Fara, si ripercorre l’intera storia di un uomo che si è sempre definito “nato per fare il ladro”.

Sfogliando, così, le oltre 300 immagini del volume Ultima Edizione. Storie nere dagli archivi della Notte, il volto di Milano che emerge non è affatto quello della cosiddetta “Milano da bere”, ma è un mondo nel quale sparatorie, rapine, sequestri e omicidi sono all’ordine del giorno.
Parliamo della Milano degli anni Settanta, di una città che giocava ogni giorno a “guardie e ladri”, e di una criminalità che non era già più la semplice ligèra, per quanto fosse ancora ben lontana dal potersi definire organizzata o politica.
Non parliamo, insomma, di mafia o ‘ndrangheta – perlomeno, non in un primo momento – né di terrorismi o strategie della tensione, ma di uomini e bande che si potrebbe dire vivessero alla giornata, con il solo interesse di diventare ricchi nel più breve tempo possibile per potersi divertire, permettere bei vestiti, belle macchine e frequentare la gente che conta.
Una malavita fatta di personaggi, intrecci e azioni da romanzo noir, tanto che a leggere di quel che fu il quindicennio 1970 – 1984 si corre il rischio di cadere nel fascino del male, di finire con il fare il tifo per il cattivo, trattandolo da novello Robin Hood e dimenticandosi dei morti innocenti e dello stato di paura generale in cui tutti erano costretti a vivere ogni giorno.

Figlio illegittimo del boss mafioso americano Frank “Tre dita” Coppola, da aspirante boxeur di periferia, grazie ad amicizie influenti e a un vero e proprio esercito di “bravi ragazzi”, comincia una carriera criminale che lo porta rapidamente a costruire un impero fatto di bische, rapine, prostituzione, oltre che di affari con mafie, politici e rappresentanti di spicco del jet set.
Un potere così forte ed esteso che comincia presto a fare gola a molti; all’apice del successo, alle soglie degli anni Ottanta, Turatello si trova, così, ad avere molti nemici – dalle nuove bande rivali fino alla stessa mafia – e il suo regno comincia a franare.
“Faccia d’angelo” viene arrestato a seguito di una soffiata, i suoi fedelissimi vengono uccisi uno dopo l’altro, così come la madre di suo figlio.
Il suo assassinio in carcere all’età di 37 anni, di cui ancora si ignorano i mandanti, segnerà una svolta cruciale nella storia della criminalità milanese e consegnerà la sua figura alla leggenda, lasciando enigmatico il suo ruolo all’interno degli anni più bui della storia italiana.

“Il bel Renè”, il bandito dagli occhi di ghiaccio, tra rapine, sequestri di persona ed evasioni rocambolesche dal carcere, insieme alla sua banda della Comasina ha tenuto incollato per anni un paese intero davanti ai notiziari, diventando di fatto il primo criminale vip della storia italiana, in grado di affascinare migliaia di donne con i suoi modi eleganti da ladro gentiluomo.
Luca Scornaienchi ha avuto modo di incontrare Vallanzasca in un bar della periferia di Milano, in uno degli ultimi giorni di libertà vigilata, prima che questa gli venisse definitivamente revocata e fosse rispedito fine pena mai nel carcere di Opera a seguito di un furto di mutande in un supermercato.
Da quella breve chiacchierata è nata in lui l’idea del fumetto Vallanzasca. Il male fuori e dentro il carcere, in cui, con l’aiuto dei disegni di Jonathan Fara, si ripercorre l’intera storia di un uomo che si è sempre definito “nato per fare il ladro”.

Dopo un breve periodo di convivenza con le bande della mala del territorio – a quelle di Turatello e Vallanzasca, vanno aggiunti gli “indiani” di Angelo Epaminonda detto “Il tebano” – negli anni Ottanta sono le ‘ndrine e le famiglie di Cosa Nostra a gestire e comandare la criminalità meneghina.
Manager Calibro 9 di Piero Colaprico e Luca Fazzo racconta quegli anni di malavita milanese attraverso le parole di Saverio Morabito, rapinatore e killer coinvolto nel grande business della droga e dei sequestri di persona, fino all’arresto nel 1992.
Entrato nelle fila dei pentiti di spicco, con le sue dichiarazioni ha innescato una reazione a catena che ha portato a centinaia di arresti e si è guadagnato una condanna a morte da parte dell’Anonima, che lo costringe da anni a vivere sotto falsa identità.
Attraverso la sua testimonianza, scopriamo le regole e la mentalità delle cosche, l’infiltrazione delle mafie nella politica nazionale e come si sia costruita la carriera di un criminale nella Milano del boom economico.

Personaggi che per carisma e valore non hanno nulla da invidiare ai criminali di cui si è detto, tanto da essere loro stessi rispettati e temuti dai componenti delle varie bande.
Su tutti, Achille Serra, vicecommissario e capo della squadra mobile a Milano per tutto il periodo di fuoco tra il 1969 e il 1990, tempi in cui, soprattutto per un poliziotto come dice lo stesso Serra, “se dicevi di volerti trasferire a Milano, ti ricoveravano in psichiatria”.
Nel suo libro Poliziotto senza pistola, Serra racconta l’esperienza di quegli anni infuocati e la storia personale di chi deve rischiare ogni giorno la propria vita, decidendo di affrontare tutto e tutti solo attraverso il dialogo e senza mai mettere in secondo piano la dignità dei criminali.

Da Rina Fort, la “belva di via San Gregorio”, all’omicidio di Giorgio Ambrosoli; dal delitto di Maurizio Gucci all’assalto al portavalori in via Imbonati; dalla strage di piazza Fontana, all’omicidio del commissario Luigi Calabresi; da Luciano Lutring, il “solista del mitra”, al commissario Mario Nardone, un altro dei pochi eroi buoni di questa storia.
E poi, l’infanticida Collalto, l’infermiere della morte e il killer della metropolitana…
Andrea Accorsi e Daniela Ferro hanno raccolto questi e altri fatti e volti nella loro Milano criminale, una vera e propria antologia dei crimini avvenuti all’ombra della Madonnina.
Come abbiamo detto, la storia della mala milanese tra la fine degli anni Sessanta e i primi anni Ottanta sarebbe degna di un thriller.
E infatti, Paolo Roversi le ha dedicato i due libri che compongono la serie Città rossa, Milano criminale e Solo il tempo di morire.
Al loro interno vi ritroviamo – in versione romanzata, ma neanche più di tanto – l’intera vicenda epica della malavita meneghina di quell’epoca, tutta la travolgente e sanguinosa epopea, fatta di banditi, sbirri, rapine, bische, sequestri, omicidi, denaro e lotte senza quartiere, che ha avuto come ambientazione la metropoli lombarda, quando ancora era una città rossa (come il sangue, non come il vino) e non una città da bere.

Storie e persone che oggi, per chi vive e frequenta Milano, sono così lontane da sembrare non essere mai esistite.
Eppure, Milano così come la conosciamo adesso non esisterebbe senza quel periodo e quel trascorso, che rimane ancora parte integrante della città.
Perché se anche oggi la criminalità non spara e non si vede, questo non significa affatto che non ci sia più.


Storie e persone che oggi, per chi vive e frequenta Milano, sono così lontane da sembrare non essere mai esistite.
Eppure, Milano così come la conosciamo adesso non esisterebbe senza quel periodo e quel trascorso, che rimane ancora parte integrante della città.
Perché se anche oggi la criminalità non spara e non si vede, questo non significa affatto che non ci sia più.