Frangere = dal latino spezzarsi, rompersi. Quante volte abbiamo sentito parlare di persone fragili? Definizione che porta istintivamente e immediatamente a pensare ai malati cronici, agli immunodepressi nonché agli anziani. Ma il termine latino permette di darne una definizione molto più ampia e completa. Non si limita solo ad accoglierne il significato più strettamente connesso a delle caratteristiche psico-fisiche individuali - come troviamo nelle persone con disagi/disabilità - ma ad estenderlo a tutta una parte di umanità su cui incombe una fragilità esistenziale. Fragilità che determina un equilibrio molto delicato e complesso nell’interazione tra identità e condizioni ambientali in cui vive e si misura. Nella relazione con l’altro, una fragilità debole ci espone sì a cedimenti fisici, ma anche morali, in cui paura, timidezza ed insicurezza possono rompere quella flessibilità, elasticità e predisposizione al cambiamento, che naturalmente ci preserva. Ed è così che marginalità e svantaggio diventano termini più complessi che chiamano ulteriore attenzione e riguardo.
Per questo nel tempo, in molte realtà, a complemento di terapie ufficiali mediche e, alla luce di quanto detto, sono state proposte e sperimentate terapie non convenzionali molto interessanti, di tipo sociale, che hanno portato risultati sorprendenti; opportunità che hanno permesso e testimoniato un effettivo miglioramento psico-fisico, uno stato di maggior benessere, nelle persone coinvolte.
Non le affronteremo tutte ma raccogliamo alcuni esempi che l’editoria ci ha posto all’attenzione in questi ultimi mesi e che riteniamo utili spunti nel pensare possibile e percorribile la strada dell’umanità e dell’inclusione.
Salvarsi con il verde. La rivoluzione del metro quadro vegetale, uscito per i tipi di Giunti, raccoglie il pensiero di Andrea Mati che da quarant’anni mette a servizio la sua competenza di progettista e vivaista. In una stretta collaborazione con psicologi, geriatri e psichiatri, realizza giardini con specifiche funzioni terapeutiche che si sono rivelate di grande aiuto nella cura della sindrome di Down, dell’autismo, delle depressioni, dell’Alzheimer e di tutte le dipendenze. Un amore sconfinato per la natura tradotto in un percorso di aiuto reciproco tra piante e persone. Molti i ricordi, gli esempi raccontati e le collaborazioni nel tempo: dalla comunità di San Patrignano, alla Comunità Incontro di Terni fondata da don Pierino Gelmini, alle Rsa e aziende ospedaliere. Partendo - per citarne alcune - dalle teorie di Edward Wilson, padre della sociobiologia, dai pensieri ‘ecologisti’ espressi da James Hillman, dalle ricerche pionieristiche del paesaggista Roger Ulrich padre della Teoria della riduzione dello stress e arrivando alla Teoria della rigenerazione dell’attenzione dei coniugi Kaplan, Mati porta al centro di ogni suo intervento la ‘connessione’ dell’uomo con la Natura. Un processo di cura che non vuol essere altro che un invito al cambiamento interiore per poi diventare globale ed estendersi a chi ci è prossimo. Un percorso che necessariamente passa e si realizza attraverso l’esperienza. Quattro le sezioni intitolate alle quattro stagioni, di piante e persone, che si sono salvate a vicenda, e una sezione di contributi scientifici di chi ha sostenuto ed integrato il suo operato.
Parallelamente alla progettazione, la cooperativa sociale 'Giardineria Italiana', fondata dallo stesso Mati più di vent’anni fa, si pone l’obiettivo di formare figure professionali in un rapporto stretto di crescita tra persone con storie molto complesse, tra cui anche detenuti. In un passaggio attento di competenze e di fiducia, molti ritrovano la possibilità di ricostruirsi una nuova vita e soprattutto recuperano la libertà e la dignità sottrattagli.
Obbiettivo comune alla Onlus 'A buon diritto' che, con Letteratura di evasione. Scritti dei detenuti del carcere di Frosinone edito da Saggiatore, ci propone l’antologia dei testi composti durante il laboratorio di scrittura - ideato e condotto da Ivan Talarico - nell’ambito del progetto 'Fiorire nel pensiero' di Federica Graziani. La scrittura quindi come luogo di espressione che si manifesta nella sua forza più liberatoria. Apre confini, spalanca porte e finestre e rigenera. Spunti di riflessione sulla reclusione attraverso le voci di chi quella stessa vive nel corpo e nella mente. Può un carcere divenire punto di partenza e non più solo di arrivo? Autobiografie immaginarie e reali, pagine di diari, lettere, ricordi, sguardi e poesie, compongono il corpus di questa raccolta che apre uno spiraglio di autonomia e libertà. Attraverso la scrittura i detenuti si sono avvicinati. In un contesto di non giudizio e di incoraggiamento, l’interazione creatasi ha permesso un fluire di ricchezza dei contenuti, stimolata da letture e da una continua scrittura. Come Talarico lo definisce, questo libro nasce come restituzione, la dimostrazione di poter produrre qualcosa di importante e concreto.
Torna alla mente il bellissimo docu-film dei fratelli Taviani Cesare deve morire del 2012 nato dalla rappresentazione dell’opera shakespeariana Giulio Cesare e realizzato dai detenuti del carcere di Rebibbia coordinati dal regista teatrale Fabio Cavalli. Un’ interessante prova laboratoriale in cui i temi del dramma vengono interiorizzati, elaborati, reinterpretati e messi in scena dagli stessi in modo del tutto personale e spontaneo, e spesso espressi incredibilmente in dialetto. Potente la frase pronunciata da Cosimo Rega (Cassio) che al termine della rappresentazione guardando in camera dirà: "da quando ho conosciuto l'arte questa cella è diventata una prigione".
Altra esperienza di terapia la ritroviamo in Ogni sguardo è unico di Sergio Schenone. Arteterapeuta con formazione artistica, conduce atelier dedicati in particolare a bambini ed adolescenti problematici, spesso integrandoli con l’utilizzo dello strumento video. Là dove i protocolli impongono procedure più rigide, Schenone mette al centro l’elemento emotivo, anche dell’operatore stesso, e propone alternative meno convenzionali. La testimonianza di come, all’interno di un percorso professionale, una gestione più accurata delle emozioni, anche negative, può trasformarsi in uno strumento utile di conoscenza e di miglior comunicazione. Senza sganciarsi dalla propria condizione di adulto, che anzi diventa riferimento solido e rassicurante, l’arteterapeuta, attraverso i codici artistici, costruisce una relazione più autentica in cui [...linguaggi ed emotività diverse possano davvero incontrarsi e dialogare..]. Tutto partendo dal presupposto di abbandonare ogni aspettativa narcisistica, e riportando al centro la persona con i suoi deficit espressivi o creativi e proponendo soluzioni atte a liberare emozioni che diversamente verrebbero costrette in confini predeterminati o potrebbero risultare insincere o falsate.
E tra le tante forme d’arte a servizio della cura ritroviamo anche la musica. Nel volume edito da Mimesis Note nella cura. Musica, psicoanalisi e musicoterapia ( inserito nella Collana dell’Istituto di Ricerca di Psicoanalisi applicata e diretta da Massimo Recalcati) sono raccolti saggi che propongono una lettura psicoanalitica del linguaggio musicale, anche nella sua applicazione terapeutica. Nella prima sezione gli interventi volgono a delineare la forma musicale, gli aspetti culturali che la determinano e analizzano la musica come fenomeno sociale. In un percorso che attraversa generi, epoche e linguaggi, e che ci porta a comprendere la forte connessione tra musica e testo e musica e sintassi, si indaga il coinvolgimento col corpo nel ballo e nel suonare uno strumento, fino ad arrivare alla tesi che sposta la parola dalla musica fino a perdere qualsiasi riferimento semantico. Ecco che la musica come rappresentazione evoca emozioni ed immagini in cui l’affetto circola liberamente.
Nella seconda sezione gli autori entrano nel vivo dell’approccio terapeutico con la musica e degli aspetti specifici nella relazione coi pazienti. Da qui l’uso della terapia e dell’improvvisazione musicale nei casi di autismo, di disabilità fisica ed intellettiva. La musica diventa linguaggio non verbale in cui il soggetto esprime e libera emozioni da cui poi riesce a prendere distanza in una dimensione di accoglienza e accompagnamento. Anche nella musicoterapia di gruppo la scelta degli strumenti viene effettuata in base alle attitudini e alle possibilità e limiti nel praticarli. Così come con gli adolescenti la musica si fa compagna della solitudine, elemento di condivisione e di legame là dove le parole non sono necessarie o dove faticano ad essere pronunciate, e là dove le parole d’altri o composte danno voce a chi la voce da solo non riesce a trovarla.
Una mano tesa, un orecchio prestato, perché la fragilità non sia più vista come limite ma come risorsa.