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QUANDO I LIBRI BRUCIANO

QUANDO I LIBRI BRUCIANO QUANDO I LIBRI BRUCIANO
QUANDO I LIBRI BRUCIANO

















“Nel pomeriggio come ti dicevo,
ama dormire: allora lo puoi uccidere:
– ma, prima, cerca di levargli i libri –
tu puoi schiacciargli il capo con un ceppo,
oppure aprirgli il ventre con un palo,
o tagliargli la gola col coltello.
Prima, ricorda di levargli i libri:
senza libri, è uno sciocco come me,
e non ha un solo spirito al comando.”
(William Shakespeare, La tempesta)


Tra le novità di saggistica uscite negli ultimi mesi, colpisce la presenza di due volumi che, seppur da prospettive diverse, affrontano una medesima tematica, quella dei roghi dei libri; si tratta di Bruciare libri. La cultura sotto attacco di Richard Ovenden, pubblicato da Solferino, e di Chi brucia i libri di Gerard Haddad, edito da Scholè.

     
 
Che siano avvenuti per un’imperdonabile incuria o, purtroppo più spesso, per una scelta intenzionale, gli episodi di libri dati alle fiamme, come ci ricorda Ovenden, accompagnano da sempre la storia dell’uomo e hanno rappresentato una costante minaccia alla conservazione e allo sviluppo della sua identità, ma, soprattutto, della sua libertà.
Infatti, l’atto di bruciare i libri – o qualunque altro tipo di opera d’arte – rappresenta il passo finale e drammaticamente estremo di ogni tipo di censura e, non a caso, si è sempre strettamente legato a tutti quei fenomeni politici e religiosi incentrati su totalitarismo, fanatismo e razzismo. Il saggio di Haddad muove proprio da questo punto per avviare la sua indagine psicanalitica e tentare di comprendere cosa si celi dietro il morbo della bibliocastia.
 
Quando parliamo di rogo di libri, il primo evento che ritorna alla memoria di tutti è, sicuramente, quello avvenuto il 10 maggio del 1933 ad opera dei nazisti nella Bebelplatz berlinese, in cui finirono tra le fiamme più di 25000 volumi ritenuti “non ariani”.
In realtà, questo fu solo il più grande bücherverbrennungen attuato dal regime nazionalsocialista – oltre che quello mediaticamente più importante: vi presero parte oltre 40000 persone e a presenziare ci fu il Ministro della Propaganda Joseph Goebbels – ma tutto il 1933 fu costellato da episodi dello stesso tenore che ebbero luogo in tutta la Germania.
Un testimone diretto del rogo berlinese fu il sociologo e filosofo tedesco Leo Löwenthal, il quale, una volta ritornato in patria dagli Stati Uniti dopo la caduta di Hitler, con ancora negli occhi e nella mente quello che aveva visto e vissuto, compose il saggio I roghi dei libri.
In questo breve volume, l’autore descrive chiaramente le motivazioni ideologiche e i significati simbolici che ogni singola pagina data alle fiamme si porta con sé: il voler cancellare il passato, presentandosi come l’unica giusta correzione a tutti gli errori e a ogni male; l’impedire a ogni idea contraria, pericolosa e sovversiva, di nascere e di diffondersi; il demolire ogni individualità, non solo, come potrebbe sembrare, quella degli autori e degli editori che vengono direttamente perseguitati, ma quella di ogni singolo uomo – potenziale lettore di quei testi – a cui viene tolta ogni possibilità di sviluppare un pensiero autonomo e divergente.

 
Quello nazista, comunque, è solo un capitolo di una storia millenaria di libri bruciati; una storia che Lucien X. Polastron nel suo Libri al rogo ci racconta con dovizia di particolari.
Già nel 213 a.C., Qin Shi Huang – primo imperatore della Cina, lo stesso che commissionò il famoso esercito di terracotta e avviò i lavori di costruzione della Grande muraglia cinese – attuò un rogo dei testi tradizionali antichi, dal quale salvò solo quelli di natura più strettamente tecnica e scientifica, e accompagnò al tutto una violenta persecuzione degli intellettuali, 460 dei quali furono sepolti vivi.
Restando in epoca antica, impossibile non citare, poi, le distruzioni che hanno riguardato la famosa e a tratti mitologica biblioteca di Alessandria d’Egitto.
L’epoca medievale fu particolarmente ricca di episodi di libri dati alle fiamme, fomentati per lo più dallo spirito religioso. Numerosi furono i roghi di libri di scrittori pagani, arabi ed ebraici, così come di quei testi ritenuti non conformi al pensiero cristiano, fino ad arrivare al famoso Falò delle vanità voluto da Girolamo Savonarola, durante il quale venne bruciato qualunque oggetto fosse ritenuto potenzialmente peccaminoso.

Proseguendo, l’epoca moderna fu caratterizzata in ambito di censura culturale dallo scontro tra il tradizionale cristianesimo cattolico e il nascente protestantesimo. Così, da un lato – quasi per legge del contrappasso – nei territori in cui il credo luterano più fanatico cominciò a dilagare, a esser vittima di roghi furono i testi sacri: rappresentativa, da questo punto di vista, fu la Rivolta di Münster attuata dagli anabattisti nel 1534, durante il quale si salvò dal fuoco solo la Bibbia, e che è al centro della narrazione di Q, romanzo storico capolavoro del collettivo Luther Blissett.
Dall’altro lato, per difendersi dalle numerose nuove dottrine considerate eretiche e insidiose, la Chiesa istituì, prima, la Santa Inquisizione e, subito dopo, nel 1559, il primo Indice dei libri proibiti, il quale verrà abrogato solo nel 1966, tanto che in Italia, nel 1961, vi fu ancora un rogo di libri, l’ultimo sancito dalla legge, che riguardò il Marchese de Sade.
La nuova e più dura politica di censura della Chiesa non risparmiò neanche il Nuovo Mondo: nel 1562, ad esempio, l’Inquisizione bruciò tutti i manoscritti Maya e Aztechi, distruggendo, di fatto, l’intero patrimonio culturale di quelle civiltà.
Anche secoli dopo l’epoca dei conquistadores l’America Latina non fu risparmiata da altri roghi: non ci fu rivoluzione o colpo di stato nella seconda metà del Novecento che non vide esser dati alle fiamme i testi ritenuti nemici del nuovo ordine costituito.
 
Nella narrativa, Ray Bradbury è lo scrittore che ha affrontato maggiormente questa tematica, colpito e inorridito dagli episodi di persecuzione e rimozione culturale messi in atto da Hitler e da Stalin.
Ancora prima di scrivere Fahrenheit 451, il suo romanzo più importante e totalmente incentrato proprio su una società distopica in cui tutti i libri vengono bruciati, Bradbury scrisse un racconto inserito, in seguito, nella sua raccolta Cronache marziane, dal titolo Usher II.
Il brano – ispirato fin dal nome da quello di Edgar Allan Poe, La caduta della casa degli Usher – mette in scena la vendetta di William Stendhal, appassionato lettore e scrittore che sulla Terra aveva visto la censura di stato bruciare la sua biblioteca da 50000 volumi e che decide di andare su Marte assieme a Pikes, un attore di film dell’orrore anche lui vittima della censura cinematografica e teatrale. Qui, i due, cercando apparentemente di farlo di nascosto e in segreto, costruiscono la Casa degli Usher, un vero e proprio tributo a tutte le creazioni della letteratura gotica.
Finché anche Marte, però, non finisce sotto la giurisdizione dell’Ispettorato per il Clima Morale terrestre, che ordina la demolizione della casa.
Stendhal ottiene di poter organizzare prima un’ultima grande festa, durante cui dare sfoggio a tutte le meraviglie della casa e alla quale invitare tutti le più eminenti personalità della società terrena.
Ma la festa si rivelerà solo un inganno, una rivincita contro i presunti benpensanti e contro la loro ipocrisia e la loro ignoranza.

     

Oggi, solo in apparenza il fenomeno del rogo dei libri e delle opere d’arte rappresenta una questione superata, anacronistica e lontana dalla nostra realtà – se si escludono, ovviamente, quei singoli episodi legati a un fanatismo da tutti condannato e ritenuto selvaggio, come quello messo in atto dall’ISIS nel 2015 contro circa 2000 libri ritenuti non in linea con i precetti dell’islamismo.
In realtà, come afferma il giornalista Pierluigi Battista nel suo Libri al rogo. La cultura e la guerra all’intolleranza: “Se stentiamo a percepire l’odore di bruciato è perché ora il rogo dei libri si chiama censura”.
Ecco perché, negli ultimi anni come non mai, è fondamentale salvaguardare la tolleranza e ogni libertà d’espressione, ricordandosi che i libri sono pericolosi, è vero, ma proprio per questo vanno difesi.

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