Di ritorno dall’esilio londinese e determinato a
scrivere un’opera utile alla fede cristiana,
François-René de Chateaubriand immaginava
una grande sintesi cattolica, in cui una nuova
esposizione delle ricchezze dogmatiche della
dottrina della fede non potesse essere prodotta
se non in risonanza diretta con i grandi
temi della cultura civile, facendo così del
principio teologale del cristianesimo la chiave
di lettura della realtà nella sua interezza. Il
Genio del Cristianesimo è un’opera che per
definire l’essenza della fede cristiana sente il
bisogno di attraversare gli spazi umani della
storia e della cultura, e che d’altra parte non
immagina possibile comprendere la ragione
ultima di questi spazi, il loro intrinseco valore,
la loro specifica natura, se non sotto la
luce radente del fondamento cristiano. La
chiave ermeneutica di questa audace reinvenzione
di una sistematica cristiana era oltretutto
quella di un’estetica della fede che
rimetteva al centro della cultura antropologica
il tema della sensibilità. Avrebbe dovuto
essere una preziosa lezione per la teologia
dell’epoca. Allora quella lezione non fu raccolta.
Essa può tuttavia essere ripresa a
conforto delle contemporanee ricerche di
un’estetica teologica, dal cui punto di vista è
possibile oggi riconoscere gli oggetti concettuali
custoditi nell’opera di Chateaubriand in
tutta la loro preveggente attualità.
Biografia dell'autore
Giuliano Zanchi, licenziato in Teologia fondamentale
presso la Facoltà teologica dell’Italia
Settentrionale, è Segretario generale della
Fondazione «Adriano Bernareggi» di Bergamo.
Si occupa di temi al confine fra l’estetica e la
teologia. Ha pubblicato Lo spirito e le cose
(Vita e Pensiero, 2003), La forma della chiesa
(2005), Nella luce dell’essere: conversazioni
sul caso Van Gogh (2005), Il destino della bellezza
(2008), Salomone e le formiche (Vita e
Pensiero, 2010).