Nei quattro anni delle sue sessioni, il Concilio
Vaticano II colpì l’attenzione dei media con le
coreografiche cerimonie pubbliche, mentre i
suoi accesi dibattiti occupavano spesso le
prime pagine dei giornali. Non si trattava di un
interesse superficiale: l’opinione pubblica di
tutto il mondo percepiva la portata delle grandi
trasformazioni in atto nella Chiesa cattolica.
Per giudizio unanime, il Concilio è considerato
il più importante evento religioso del XX secolo,
i cui effetti e risonanze si propagarono ben
oltre i confini della compagine ecclesiale.
Questo di John O’Malley è il primo libro – solidamente
fondato sulla documentazione ufficiale
– a offrire una narrazione, scorrevole e
avvincente, di che cosa accadde nel Concilio,
dal momento in cui Giovanni XXIII lo annunciò il
25 gennaio 1959, fino alla conclusione l’8 dicembre
1965. I grandi temi che emergono dal racconto,
sapientemente collocati nel loro contesto
storico-teologico, diventano illuminanti
chiavi di lettura per comprendere ciò che era
in gioco nelle assise conciliari.
Che cosa è successo nel Vaticano II restituisce il ‘dramma’ del Concilio attraverso i colori vividi dei suoi personaggi e dei loro aspri conflitti. Lasciandosi alle spalle le logore categorie di ‘progressisti’ e ‘conservatori’, O’Malley disegna una cornice interpretativa a partire dai tre grandi problemi di fondo che hanno attraversato il Vaticano II, tra loro strettamente connessi: il rapporto tra identità e cambiamento; la relazione tra centro (papato) e periferia (vescovi) nel governo; lo stile secondo cui la Chiesa esercita la sua missione. È soprattutto sotto quest’ultimo profilo che il Vaticano II mostra la sua novità rispetto ai concili precedenti, la sua impronta riformatrice. Il rinnovamento da esso avviato si ispirava alle fonti bibliche e patristiche: paradossalmente fu con questo ritorno all’antico che la Chiesa ‘entrò’ nel XX secolo dopo un lungo periodo di antagonismo rispetto alla modernità. Non si trattò affatto di una strategia accomodante verso lo spirito del tempo, ma dell’espressione di valori che si rifacevano alle origini stesse del cristianesimo. La più nitida percezione della Chiesa come soggetto in cammino nella storia favorì nel Concilio il passaggio a uno stile improntato al dialogo, all’ascolto dei ‘segni dei tempi’, alla simpatia nei confronti dell’umanità. Il Vaticano II non inventò questo stile né intese dire che fosse assente nella Chiesa, ma lo mise autorevolmente in evidenza perché fosse contemplato, ammirato e realizzato, stabilendo così un equilibrio tra continuità e mutamento, centro e periferia, fermezza e flessibilità, verticale e orizzontale, un bilanciamento da custodire con cura per la vitalità stessa dell’istituzione cattolica nella storia.
Sta dentro queste sponde il laborioso e incompiuto percorso della recezione del Concilio: il suo dono resta affidato alla responsabilità della Chiesa perché possa dispiegare tutti i suoi provvidenziali effetti.
Che cosa è successo nel Vaticano II restituisce il ‘dramma’ del Concilio attraverso i colori vividi dei suoi personaggi e dei loro aspri conflitti. Lasciandosi alle spalle le logore categorie di ‘progressisti’ e ‘conservatori’, O’Malley disegna una cornice interpretativa a partire dai tre grandi problemi di fondo che hanno attraversato il Vaticano II, tra loro strettamente connessi: il rapporto tra identità e cambiamento; la relazione tra centro (papato) e periferia (vescovi) nel governo; lo stile secondo cui la Chiesa esercita la sua missione. È soprattutto sotto quest’ultimo profilo che il Vaticano II mostra la sua novità rispetto ai concili precedenti, la sua impronta riformatrice. Il rinnovamento da esso avviato si ispirava alle fonti bibliche e patristiche: paradossalmente fu con questo ritorno all’antico che la Chiesa ‘entrò’ nel XX secolo dopo un lungo periodo di antagonismo rispetto alla modernità. Non si trattò affatto di una strategia accomodante verso lo spirito del tempo, ma dell’espressione di valori che si rifacevano alle origini stesse del cristianesimo. La più nitida percezione della Chiesa come soggetto in cammino nella storia favorì nel Concilio il passaggio a uno stile improntato al dialogo, all’ascolto dei ‘segni dei tempi’, alla simpatia nei confronti dell’umanità. Il Vaticano II non inventò questo stile né intese dire che fosse assente nella Chiesa, ma lo mise autorevolmente in evidenza perché fosse contemplato, ammirato e realizzato, stabilendo così un equilibrio tra continuità e mutamento, centro e periferia, fermezza e flessibilità, verticale e orizzontale, un bilanciamento da custodire con cura per la vitalità stessa dell’istituzione cattolica nella storia.
Sta dentro queste sponde il laborioso e incompiuto percorso della recezione del Concilio: il suo dono resta affidato alla responsabilità della Chiesa perché possa dispiegare tutti i suoi provvidenziali effetti.
Biografia dell'autore
John W. O’Malley, gesuita, insegna alla
Georgetown University di Washington. Tra i
curatori dell’edizione inglese dell’opera erasmiana,
è autore di numerosi e pluripremiati
saggi storici, tra cui, tradotti in italiano, I primi
gesuiti (Vita e Pensiero 1999), Trento e dintorni.
Per una nuova definizione del cattolicesimo
nell’età moderna (2005) e Quattro culture
dell’Occidente (Vita e Pensiero 2007).