In modo paradossale, si può affermare che oggi la medicina non gode di ottima salute. Secondo l’espressione del medico e filosofo statunitense E.D. Pellegrino, essa «soffre per l’abbondanza di mezzi e la povertà di fini». Più potente di fronte alla malattia, persino capace di produrre la vita, appare tuttavia più debole e sprovveduta di fronte ai significati stessi del dolore e della cura, intesi come esperienza personale e come relazione intersoggettiva.
Questa strutturale fragilità della medicina non era sfuggita agli antichi, quando ne avevano rappresentato il fondatore nel centauro Chirone, maestro di Asclepio e portatore di una ferita incurabile. A tale figura mitologica è significativamente intitolato questo saggio di Maria Teresa Russo volto a indagare il rapporto tra antropologia, etica e medicina. Guaritore ferito, infatti, è chi, proprio perché si sa malato, ossia sperimenta il limite nella propria natura, è capace di prendersi cura senza peccare di hýbris, senza pretendere di gestire i segreti della vita e della morte.
La cosiddetta medicina umanistica spagnola offre un significativo esempio di questo binomio, complesso e necessario, di medicina e filosofia, éthos e téchne del curare. Con chiarezza e competenza, Maria Teresa Russo ricostruisce i percorsi e le vicende speculative di questa importante tradizione, mettendo in luce, in particolare, due notevoli figure novecentesche: Juan Rof Carballo e Pedro Laín Entralgo. Medici umanisti, che hanno unito alla competenza la riflessione filosofica sul significato e le implicazioni del gesto di cura. Medici che alla filosofia hanno offerto la possibilità di evitare il rischio dell’astrattezza o della polemica antiscientifica, e alla propria professione hanno saputo restituire il significato del ‘curare a misura d’uomo’, perché riferito a un orizzonte dove le domande di senso poste dalla medicina sono, se non sempre risolte, almeno accolte e comprese.
Questa strutturale fragilità della medicina non era sfuggita agli antichi, quando ne avevano rappresentato il fondatore nel centauro Chirone, maestro di Asclepio e portatore di una ferita incurabile. A tale figura mitologica è significativamente intitolato questo saggio di Maria Teresa Russo volto a indagare il rapporto tra antropologia, etica e medicina. Guaritore ferito, infatti, è chi, proprio perché si sa malato, ossia sperimenta il limite nella propria natura, è capace di prendersi cura senza peccare di hýbris, senza pretendere di gestire i segreti della vita e della morte.
La cosiddetta medicina umanistica spagnola offre un significativo esempio di questo binomio, complesso e necessario, di medicina e filosofia, éthos e téchne del curare. Con chiarezza e competenza, Maria Teresa Russo ricostruisce i percorsi e le vicende speculative di questa importante tradizione, mettendo in luce, in particolare, due notevoli figure novecentesche: Juan Rof Carballo e Pedro Laín Entralgo. Medici umanisti, che hanno unito alla competenza la riflessione filosofica sul significato e le implicazioni del gesto di cura. Medici che alla filosofia hanno offerto la possibilità di evitare il rischio dell’astrattezza o della polemica antiscientifica, e alla propria professione hanno saputo restituire il significato del ‘curare a misura d’uomo’, perché riferito a un orizzonte dove le domande di senso poste dalla medicina sono, se non sempre risolte, almeno accolte e comprese.
Biografia dell'autore
Maria Teresa Russo è docente di Antropologia ed Etica all’Università Campus Bio-medico di Roma e svolge attività di ricerca presso la cattedra di Filosofia morale dell’Università Roma Tre. Ha pubblicato lavori nell’ambito della filosofia spagnola contemporanea (Maria Zambrano, la filosofia come nostalgia e speranza, Roma 2001), della filosofia della medicina e dell’antropologia della salute (Corpo, salute, cura. Linee di antropologia biomedica, Soveria Mannelli 2004).