Johan & levi: Biografie
La dittatura della fantasia. Collage autobiografico
di Remo Bianco
editore: Johan & levi
pagine: 244
Un lungo ricovero in ospedale costringe Remo Bianco a fermarsi e fare il punto della propria vita, «come certi marinai in mare
La dea stanca. Vita di Lina Bo Bardi
di Zeuler Rocha Mello de Almeida Lima
editore: Johan & levi
pagine: 400
«Gli architetti devono avere un contatto profondo con il vivere, perché il vivere è tutto»: sembra avere già in mente queste p
Autobiografia di un impostore. Narrata da Laura Leonelli
di Paolo Ventura
editore: Johan & levi
pagine: 152
C'era una volta un impostore
Arthur Cravan. Una strategia dello scandalo
di Maria-Lluisa Borras
editore: Johan & levi
pagine: 222
Dopo aver preso «tutti i treni e tutte le navi» Fabian Avenarius Lloyd si stabilisce a Parigi, smanioso di ottenere fortuna pe
Automitobiografia
di Enrico Baj
editore: Johan & levi
pagine: 272
Marcel e Suzanne Duchamp, Octavio Paz e Edoardo Sanguineti, Breton e Man Ray, de Chirico e la duchessa di Beaufort sono solo a
Un posto per tutti. Vita, architettura e società giusta
editore: Johan & levi
pagine: 372
Molto più di una semplice autobiografia, questo libro è un'improvvisazione jazz in cui si amalgamano memorie personali e idee
Arturo Martini. La vita in figure
di Elena Pontiggia
editore: Johan & levi
pagine: 301
Scultore prodigioso nel forgiare immagini e narrare miti, Arturo Martini (1889-1947) si è consacrato interamente a quest'arte
Night studio. Un racconto intimo di Philip Guston
di Musa Mayer
editore: Johan & levi
pagine: 291
Aggirandosi tra le sale della retrospettiva inaugurata in suo onore nel 1980, solo tre settimane prima della sua morte, Philip
La mia arte, la mia vita
di Diego Rivera
editore: Johan & levi
pagine: 202
Mostro sacro del muralismo messicano, Diego Rivera è stato in realtà tante cose: sodale di Picasso, donnaiolo impenitente e am
Basquiat. La regalità, l'eroismo e la strada
di Michel Nuridsany
editore: Johan & levi
pagine: 381
È il 10 febbraio 1985 e sulla copertina del New York Times Magazine troneggia un Jean-Michel Basquiat in pompa magna, seduto nel suo studio di Great Jones Street. Lo sguardo indolente fissa l'obiettivo mentre la mano impugna il pennello come un'arma. Il piede nudo, poggiato su una seggiola rovesciata che pare una carcassa di animale, spezza la formalità del completo Armani lasciando intravedere l'orlo del pantalone sporco di pittura. Distanze siderali lo separano dai tempi in cui, sottrattosi all'indifferenza borghese del padre e all'instabilità psichica della madre, ha scelto la strada, il mondo underground dei graffiti e della musica no wave, dei club, ma soprattutto i muri di New York per dare sfogo a quell'"ottanta percento di rabbia" che alimenta la sua fame di successo. Dall'anonimato di SAMO - il marchio con cui ha timbrato a fuoco la pelle di una città ancora ostaggio dei problemi razziali e del degrado urbano - nel giro di pochi anni Jean-Michel passa a firmare opere a quattro mani con Andy Warhol. È ormai il più noto pittore nero, il primo a ottenere una fama internazionale. Un traguardo fortemente voluto e raggiunto con caparbietà, ma che non tarda a trasformarsi in un'etichetta da appiccicargli addosso, in una gabbia dorata in cui l'establishment dell'arte sembra averlo rinchiuso e da cui nemmeno gli eccessi e forse l'ultimo, estremo tentativo di fuga - un ritorno alle origini, a quell'Africa meta del biglietto aereo che ha in tasca al momento della prematura morte a ventisette anni - riusciranno a salvarlo. Temperamento contraddittorio in un'epoca di contraddizioni, Basquiat vive sulla propria pelle e nella propria persona un turbinio di stimoli, un groviglio di emozioni che riversa poi sulla tela e su qualsiasi supporto abbia a portata di mano: parole, immagini e suoni si ricompongono magicamente in una forma nuova che fa di lui uno dei maggiori poeti visivi del Novecento.
Robert Mapplethorpe. Fotografia a mano armata
di Jack Fritscher
editore: Johan & levi
pagine: 348
New York, autunno 1978. Giovedì sera, alle otto spaccate, Robert Mapplethorpe, elegante e sfrontato nella sua giacca di pelle nera, scende le scale e fa il suo ingresso nella sala principale del famigerato Mineshaft, il brulicante club sotterraneo per soli uomini tempio e ricettacolo di ogni forma di perversione. È il decennio famelico e scintillante dell'emancipazione gay: arte e sesso sono legati a doppio filo e il pronostico warholiano sui quindici minuti di celebrità è un imperativo esistenziale. Mapplethorpe, il fotografo scandaloso e provocatorio per eccellenza, brandisce la sua Hasselblad come fosse un revolver e mira dritto al lato oscuro di quegli anni, di cui è insieme testimone e protagonista: nudi statuari o corpi fasciati in latex e corde, scene leather e pratiche feticiste, fino agli autoritratti luciferini. Un "fuorilegge" venuto dall'Inferno, che ha preso d'assalto i dogmi della società americana ed è diventato, nonostante i tentativi di censura, uno tra gli artisti più acclamati del Ventesimo secolo dopo la sua morte per AIDS nel 1989. Questa di Jack Fritscher - amante e compagno di Mapplethorpe alla fine degli anni settanta e direttore della prima rivista che pubblicò le sue controverse immagini - non è una biografia in senso stretto: è il ritratto di un'epoca dal cuore selvaggio, raccontata nei suoi estremi e bizzarrie attraverso una scrittura sincopata, ironica, fatta di dialoghi fulminei e ritratti allucinati.