La peste di Milano

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Nel "De Pestilentia" di Federico Borromeo vi è il ritratto di una città che sta soffrendo e dell'anima di un uomo. La città è Milano, tormentata dalla peste del 1630, percorsa dai carri colmi di cadaveri, monatti e untori. L'uomo è lui, il cardinale, cugino di san Carlo: uomo deciso e imprevedibile, che affida alle pagine di un trattatello la descrizione terrificante di un incontro con il vasto spettacolo allestito dalla morte. Ma il De Pestilentia è anche altro. Scritto di getto durante i giorni del contagio, queste pagine sono una sorta di commiato tra Federico e la sua Milano. Un addio straziante, attuato con una descrizione minuziosa degli avvenimenti e della follia che ben presto si impadronì degli animi. In questa breve opera vi è anche un raro compendio: in poche pagine si avverte quel che poteva essere una pestilenza. Milano è lo spunto, ma la descrizione riguarda i terribili effetti del morbo in ogni tempo. Da Tucidide a Boccaccio, da Omero a Federico, il teatro di morte invita lo scrittore alle supreme riflessioni.
 

Biografia dell'autore

Federico Borromeo

(Milano, 16 agosto 1564 - 21 settembre 1631) cardinale e arcivescovo. Studiò a Pavia presso il Collegio Borromeo laureandosi in teologia e in diritto. Presi gli ordini minori nel clero diocesano, nel 1585 si trasferì a Roma per proseguire gli studi classici. Arcivescovo di Milano dal 1595, nel 1609 fondò la Biblioteca Ambrosiana; nel 1618 corredò una raccolta di statue e di quadri, la cosiddetta Quadreria Ambriosiana che in seguito diverrà la Pinacoteca Ambrosiana. Seguì l'esempio del cugino san Carlo Borromeo nel disciplinare il clero, fondando chiese e collegi a proprie spese, applicando i canoni del concilio di Trento, dando esempio di grande carità durante la carestia del 1628 e la peste del 1630. Morì a Milano il 21 settembre 1631.